L’avvocato di strada è ormai, anche in Italia, un punto di riferimento per la difesa dei diritti delle fasce più deboli della popolazione. Primi fra tutti i senza tetto, i cosiddetti barboni, fenomeno sempre più in crescita tanto che l’avvocato Antonio Mumolo ha fondato nel 2000 a Bologna l’Associazione “Avvocato di Strada ODV”. Impegnato da sempre nel volontariato, Mumolo offre sostegno legale e aiuto a tutte quelle persone che, per i motivi più disparati, si trovano costrette a vivere per strada, spesso private dei diritti fondamentali e senza alcuna tutela. Persone che potremmo essere noi, perché basta poco per trovarsi senza sostegno economico, psicologico o affettivo. Impegno e lavoro costante hanno fatto ottenere all’Associazione nel 2013 il CIVI EUROPAEO PREMIUM, riconoscimento ricevuto dal Parlamento Europeo.
Come è nata l’idea dell’Associazione?
Io sono tra i soci fondatori dell’Associazione “Amici di Piazza Grande”, nata a Bologna per costruire progetti di auto-aiuto tra persone senza fissa dimora. Con gli altri soci volontari, scendevo in strada per offrire un the caldo a queste persone e soprattutto per parlare con loro. Appena si è saputo che ero un avvocato, mi chiedevano sempre consulenze giuridiche. Io mi occupo di diritto del lavoro e mi capitava spesso di ricevere richieste nel campo del diritto penale, amministrativo o civile: così il giorno dopo telefonavo a un amico e chiedevo se poteva seguire il caso pro bono. Ho capito che in strada c’era una grande fame di diritti e così è nata l’idea di “Avvocato di strada”.
Come si svolge il vostro lavoro?
Siamo professionisti che hanno deciso di dedicare qualche ora del tempo libero per fare volontariato. Siamo partiti in due e a poco a poco sono arrivati molti volontari, tanto che abbiamo replicato l’esperienza in altre città. Oggi siamo presenti in 60 città italiane, abbiamo aperto oltre 44.000 pratiche e siamo oltre mille avvocati volontari. Siamo diventati lo studio legale più grande d’Italia e siamo anche quello che fattura meno, praticamente niente.
Come mai per i clochard, rispetto ad altre categorie di fragili, tanti diritti sono preclusi?
Quando una persona diventa così povera da non potersi più permettere di pagare un affitto o un mutuo finisce in strada e perde la residenza, viene cancellata dall’anagrafe del comune. Senza residenza in Italia si diventa invisibili, non si può lavorare, si perdono i diritti previdenziali, il diritto alla salute, al voto, ad usufruire del welfare locale. Noi ci occupiamo di difendere le singole persone, ma “Avvocato di strada” fa anche advocacy, parola che indica l’insieme di azioni con cui un soggetto si fa promotore e sostiene attivamente la causa di un altro. Lo facciamo insieme a tante altre associazioni con le quali abbiamo costruito una rete.
Il titolo di un suo libro è “Non esistono cause perse”. Una speranza o una realtà?
Nel linguaggio comune e nell’immaginario collettivo la “causa persa” indica un problema impossibile da risolvere o una persona che non si rialzerà. Per noi non esistono persone che non si possono aiutare e non esistono giudizi che non si possono affrontare, anche in situazioni molto complicate, perché c’è sempre la possibilità di ottenere sentenze innovative.
Come può contribuire ognuno di noi ad arginare il problema?
Intanto vorrei ringraziare lei ed i lettori del vostro giornale. È importante parlare di chi ha di meno, è importante cercare di cambiare lo stereotipo dominante rispetto a chi diventa povero e far capire che la povertà non è una colpa, ma uno status, una condizione che può capitare a chiunque. Tenendo sempre presente che tutelare i diritti dei deboli significa alla fine tutelare i diritti di tutti quanti noi.